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7. Nel segno dell'olio d'oliva

La Valle Steria

.....7. Nel segno dell'olio d'oliva.

.....A partire dalla metà del XVII Secolo si sono verificati diversi eventi che hanno inciso profondamente sull'ulteriore evoluzione del panorama agrario della valle. Si è assistito dapprima a un consolidamento di quella già ben avviata specializzazione olivicola, con un apogeo verso il 1680, seguito da un repentino declino segnato dal susseguirsi di scarsi raccolti negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento, che sembravano preannunciare la terribile avversità climatica del 1709. In quell'anno, dal 9 di gennaio ha nevicato ininterrottamente per tre giorni e tre notti in tutta la regione, anche in riva al mare. La neve era accompagnata dal freddo intenso e da un vento fortissimo, che ha spogliato gli ulivi dei frutti non ancora raccolti e delle foglie. Moltissime piante sono state stroncate dal peso della neve e per i danni del gelo; se ne sono salvate soltanto poche ubicate nelle zone più protette.
.....L'infausta calamità del 1709 ha comportato strascichi penosi anche per la Valle del Cervo, pur se qui gli effetti sono stati meno catastrofici che altrove, grazie al clima eccezionalmente mite che anche in questi frangenti l'ha favorita. Le piante che hanno avuto i rami spezzati dal peso della neve o bruciati dal gelo sono state moltissime, ma quasi tutte sono riuscite a sopravvivere, eccettuato un numero relativo fra quelle situate alle quote più alte e maggiormente esposte. Il raccolto dell'annata inevitabilmente è risultato compromesso, ma la ripresa e il recupero della piena capacità produttiva è stata soltanto questione di qualche stagione e ciò l'ha avvantaggia rispetto ad altre località, anche della Riviera, che vi hanno impiegato molto più tempo, avendo dovuto ricostituire per intero le piantagioni.
.....Quella tremenda calamità ha rappresentato dunque per i Cervesi una contingenza favorevole dalla quale essi hanno saputo trarre profitto e, nonostante non fossero sorretti da una spiccata specializzazione mercantile, hanno dato prova di competenza incrementando notevolmente i loro affari e conquistando spazio e credito nei principali mercati oleari.
.....Per l'economia della Valle questa apertura ha rappresentato una provvidenziale alternativa alla pesca del corallo, in un momento in cui una decisa contrazione del mercato dell'oro rosso non ne giustificava più l'impresa. La marineria cervese, per non soccombere, ha dovuto adeguarsi: le piccole fregate coralline da 50 salme che precedentemente componevano la flottiglia locale, nelle statistiche del 1746 risultano rimpiazzate da 16 bastimenti della portata complessiva di 18.500 cantari, armati e atti alla navigazione di grande cabotaggio, più 24 legni piccoli. Tutti erano impiegati prevalentemente nel trasporto dell'olio d'oliva. A Cervo ora non ci si limitava a esportare il prodotto locale, che anche nelle migliori annate non sarebbe stato sufficiente, ma si impegnavano i capitali nell'acquisto di olio nel Meridione per rivenderlo altrove, soprattutto a Marsiglia, dove l'olio della Riviera di Ponente, e principalmente quello di Cervo e Diano, era particolarmente apprezzato.

I frantoi idraulici della Valle Steria.

Frantoio idraulico di località Molini a Riva Faraldi, formato dall'accorpamento di due frantoi preesistenti e comprendente anche un molino per cereali: 1 canale di adduzione, 2 ruota grande, 3 pila a frangere, 4 pila a lavare, 5 pressa, 6 argano, 7 pozzetto dell'olio lavato, 8 apparato del molino per cereali, 9 trogoli esterni, 10 fossa terminale.

.....Si è determinato così un circolo virtuoso che ha coinvolto gli abitanti e li ha spronati a incrementare la produttività dei loro poderi, con l'impianto di nuovi uliveti ove possibile, oppure con l'infittimento e lo sfruttamento in altezza delle piante in quelli esistenti, con la sostituzione delle altre specie arboree nelle colture "aggregate" e ancora con la "coltivazione forzata" per l'abbondante uso di fertilizzante.
.....Nel corso del XVIII secolo si è verificato inoltre un progressivo e consistente aumento del prezzo dell'olio. Si è passati dalle 26 lire al barile precedenti alla fatidica data del 1709, alle 42 in epoca immediatamente successiva, ai 70 franchi del 1790 e ai 140 franchi dell'inizio Ottocento, un prezzo evidentemente gonfiato per la situazione di instabilità politica persistente, destinato a scendere sensibilmente col normalizzarsi delle cose.
.....Anche questo è un fattore che ha concorso a far compiere un ulteriore balzo in avanti all'olivicoltura, che si è avviata nella seconda metà del secolo a quella condizione di monocoltura che è diventata una caratteristica saliente dell'area compresa tra Cervo e Porto Maurizio, nonostante i ripetuti gridi d'allarme dei più illustri agronomi, che hanno cercato inutilmente di mettere in guardia dai pericoli di un'eccessiva specializzazione.
.....Nonostante che nella Valle esistessero ancora delle macchie suscettibili di trasformazione o di impianto di nuove colture, si può ritenere che alla fine del Settecento la superficie olivata vi avesse raggiunto la sua massima estensione. Del resto la tendenza imperante ormai era quella di perseguire l'incremento della produttività mediante un più intenso sfruttamento dell'uliveto, non disdegnando di apportare innovazioni nei metodi colturali, piuttosto che procedere a nuovi impianti; contemporaneamente si miglioravano le attrezzature e si affinava la tecnica per l'estrazione dell'olio.
.....Le valutazioni ufficiali di quegli anni riferiscono per l'area cervese di una produzione di 25.000 barili. E' esattamente dieci volte quanto stimato due secoli prima, ma probabilmente nel nuovo computo è stata compresa anche l'area dei Faraldi, non considerata nelle stime precedenti. Questi dati inoltre si riferiscono all'annata piena, che secondo le statistiche del Conte De Chabrol De Volvic aveva una ciclicità decennale. Poiché, secondo lo stesso autorore, la produzione media corrispondeva a circa un terzo di quella piena, per la Valle del Cervo si deve calcolare un prodotto complessivo di circa 8.300 barili, che rappresentavano comunque una quantità ragguardevole.
.....Nel Dizionario Geografico Storico e Statistico del Casalis pubblicato a Torino nel 1834 si ricava che a Cervo i bastimenti di grande cabotaggio erano ridotti a tre, probabilmente per effetto degli eventi bellici dei decenni precedenti, ma il commercio dell'olio continuava a essere molto fiorente verso Genova, il Piemonte, la Francia, Amburgo e Trieste; per San Bartolomeo del Cervo lo stesso autore ha ricordato che vi si producevano anche il frumento, ma in quantità modesta, e "tutte le migliori frutta che possa vantare l'italica Pomona".
.....Dallo studio del De Chabrol citato prima si ricava anche che reddito dei frantoi a inizio Ottocento ormai era diventato maggiore di quello dei molini nel rapporto di 1 a 0,7. Ciò ha spinto i proprietari degli opifici idraulici della Valle, fino ad allora destinati quasi esclusivamente alla molitura dei cereali, ad effettuare la trasfornazione in frantoio, cosicché nella Carta Idrografica d'Italia edita nel 1894 a cura del Ministero dell'Agricoltura, si trovano segnati soltanto 3 molini per cereali, contro 36 frantoi e 4 stabilimenti che potevano assolvere contemporaneamente alle due funzioni.

.....La situazione nella Valle nella seconda metà dell'Ottocento è stata definita puntualmente dalla relazione del marchese Angelo Carrega, redatta nell'ambito dell'inchiesta agraria condotta su tutto il territorio del Regno nota come "Inchiesta Jacini". Con riferimento alla nostra terra essa recita: "Le grandi proprietà, rarissime, si collegano generalmente a minori generi di coltura, per la scarsità delle braccia e per il caro della mano d'opera e si limitano soprattutto alla coltivazione dell'ulivo e poscia quella della vite e degli agrumi. (...) Molti proprietari, aggravati da crescenti balzelli, dovendo fare assegnamento quasi sopra un solo prodotto ed anche questo incerto e costoso, non possono sottostare alle ingenti spese di coltivazione, né tentarne altre; e per non contrarre debiti, sono costretti a trasandarle e subirne loro malgrado le deplorevoli conseguenze. (...) I piccoli fondi invece sono quasi sempre coltivati dai rispettivi proprietari i quali non sono soggetti a subire pretese degli operai, che oltre ad essere scarsi, lavorano poche ore al giorno, proporzionatamente ad altre province del Regno. Da ciò ne segue che mentre al grande proprietario sono interdette molte coltivazioni per la semplice ragione che le spese assorbono le entrate, il piccolo invece vi trova il proprio tornaconto (...)".
.....Le difficoltà alle quali si accenna sono quelle dovute all'aumento costante del costo della mano d'opera, al quale non ha corrisposto un adeguato aumento del prezzo del prodotto venduto. Ciò ha innescato una inversione di tendenza che ha portato al regresso dell'olivicoltura e all'abbandono all'incuria di diversi uliveti; non ha determinato però mutamenti sostanziali del panorama agrario della Valle, per la mancanza delle risorse necessarie per sostenere le spese d'impianto di nuove colture.
.....Le grandi aziende olivicole operanti nella Valle erano poche. Si ricorda nell'area di Cervo la tenuta nota come "a Tomaxina", di proprietà Defferrari; a Chiappa, nella località Vallone-Rocca, si trovava quella dei Mantica (i Giaxi), che avevano rilevato la proprietà che fu dei Frati Agostiniani di Cervo, e sotto l'abitato principale, fino ad arrivare alla Buffa e San Simone, quella dei Terrizzano; a San Bartolomeo vi erano la proprietà Pissarello, che prima era stata dei Carcheri e dei Dessimoni, comprendente anche due frantoi della borgata Freschi e un terzo alla Rovere, e la proprietà Scoffieri, con la tenuta "du Palassu" e il relativo frantoio. Esse offrivano lavoro saltuario anche a diversi piccoli proprietari, che così integravano le loro entrate e si procuravano il sostentamento che non avrebbero potuto ricavare dai loro modesti appezzamenti.
.....Riguardo alle esportazioni dei prodotti locali, l'inchiesta Jacini ha rilevato che quella dell'olio d'oliva continuava a essere assolutamente prevalente; essa tra l'altro aveva trovato nuovi sbocchi nelle Americhe, dove l'olio di Cervo aveva ottenuto degli ambiti riconoscimenti. Atri prodotti d'esportazione erano gli agrumi, la frutta fresca e secca, il vino, le castagne, le lumache e i bozzoli di baco da seta. Della produzione di agrumi, frutta e vino già si è detto; di quella delle castagne, comunque modesta, si ha notizia da documenti precedenti, che testimoniano che tale pianta, residuo di colture messe in atto nel Medio Evo, aveva ancora una certa diffusione, tanto da dare origine a dei toponimi presenti ancora oggi nell'area cervese e in quella dei Faraldi. Per quanto concerne le lumache rimane il ricordo di ricche raccolte praticate ancora qualche decennio fa, quando non ci si doveva confrontare con i problemi dell'inquinamento prodotto dall'uso smodato di diserbanti e fertilizzanti chimici. Dell'esportazione dei bozzoli invece si sono trovati riscontri in un allevamento dei bachi da seta introdotto intorno alla metà dell'Ottocento da Agostino Tambuscio detto "Ganciu". Egli aveva acquistato una striscia di terreno lunga circa 1.800 metri e larga 20 lungo l'argine sinistro del torrente, a partire dal frantoio di sua proprietà in località Case Calvi fino alla "strada corriera", l'attuale via Aurelia, e vi aveva impiantato una coltivazione di gelsi. In più in questo terreno egli intendeva far correre il prolungamento del Canale dei Molini per portare l'acqua in uscita dal suo frantoio fino a una sua proprietà sita a valle al termine di quel terreno, dove nel frattempo aveva dato inizio alla costruzione di un pastificio. L'opposizione degli altri frantoiani e dei contadini interessati al canale però aveva bloccato l'iniziativa ed è rimasto l'allevamento di bachi da seta, in seguito imitato da altri, soprattutto nell'area dei molini. Le crisalidi prodotte tra l'altro si sono rivelate anche un ottimo fertilizzante per gli ulivi.
.....Nei decenni seguenti l'olivicoltura ha continuato comunque a rappresentare l'elemento trainante dell'economia della Valle, seppure con tendenza alla regressione per le difficoltà alle quali si è accennato. Le riprese della produzione momentanee delle quali si ha notizia sono state il riflesso delle oscillazioni del prezzo dell'olio dovute alle contingenze politiche del tempo più che ad altro.
.....Questo stato delle cose si è protratto fino all'epoca drammatica dell'ultima guerra e agli anni della ripresa che sono seguiti, che hanno determinato per l'olivicoltura una nuova fase propizia di portata notevole. La stagione della raccolta è diventata allora un momento topico, che coinvolgeva tutta la popolazione; anzi, la forza lavoro locale non era più sufficiente e per far fronte alla richiesta di nuove braccia si è dovuto far ricorso a lavoranti stagionali provenienti da altre regioni; sono rimaste famose le "sciasceline", le raccoglitrici di olive chiamate così perché le prime sono giunte da Sassello, paese dell'entroterra savonese; altre invece sono venute dal Piemonte, dalla Lombardia e dall'Emilia. Ma è stata una parentesi felice che è durata pochi anni. Un nuovo consistente aumento del costo della mano d'opera ha portato allo stato di crisi delle poche grandi aziende ancora presenti e i piccoli proprietari terrieri sono stati distolti dalla cura dei loro poderi dal miraggio di un impiego nella pubblica amministrazione o di un lavoro sicuro in fabbrica o nel campo del turismo; nel volgere di pochi anni ciò ha determinato l'abbandono definitivo di molte coltivazioni.

Interno di frantoio idraulico a Riva Faraldi.

Ingranaggi di trasmissione in un'altro frantoio idraulico di Riva Faraldi

Etichetta di lattina d'olio di fine Ottocento.

Vecchia immagine della Villa Pissarello in località La Rovere, dove aveva sede un frantoio della tenuta.

10 agosto 1888, bolla di spedizione di olio della ditta Pissarello a S.Francisco, California.

Il frantoio idraulico di Case Calvi

.....In tempi più recenti, la riscoperta della "Dieta mediterranea", la diffusione di un'educazione alimentare appropriata e una nuova forma di turismo legata alla conoscenza del territorio e dei suoi prodotti tipici, hanno determinato una ripresa della richiesta di olio d'oliva di qualità. Molte campagne abbandonate sono state rimesse a coltura con consistenti migliorie e con l'adozione delle tecniche più moderne; vecchi uliveti popolati da piante fitte e altissime sono stati trasformati da sapienti potatori, con drastici interventi che hanno portato all'abbassamento del tronco e al taglio dei rami, per ricavarne degli alberelli rinvigoriti e adatti a una raccolta più agevole del frutto.
.....Il cambiamento ha interessato buona parte delle nostre colline ed è a tutt'oggi in atto. I rilevamenti più recenti indicano che gli olivicoltori locali hanno saputo rispondere agli stimoli meglio che altrove e gli uliveti in stato d'abbandono qui rappresentano una quota di gran lunga inferiore alla media delle altre terre della Riviera. Le stesse indagini denotano inoltre l'eccellente specializzazione delle aziende in attività e il buono stato fitosanitario delle piantagioni. Questi sono dati importanti, sia per i risvolti economici, che per l'equilibrio ambientale, considerato che le piantagioni d'ulivo vi occupano quasi il 50% del territorio. Le piante appartengono tutte alla varietà Taggiasca, che si è dimostrata nei secoli particolarmente adatta al clima ligure e ha dato tante gratificazioni ai contadini; è una pianta che offre una produttività elevata e una qualità ottimale del frutto, che ne permette lo sfruttamento non soltanto per la produzione di olio, ma anche per la preparazione di squisite olive in salamoia e di altri prodotti derivati.

............................................. G. F.

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