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Le osterie nella vita di San Bartolomeo

Viaggi nella memoria


LE OSTERIE NELLA VITA DI SAN BARTOLOMEO


Testo di Ambrogio “Angiulìn” Arimondo [1], pubblicato su “A Vuxe de Cà de Puiö” n. 5, dicembre 1986, pp.19-22.
Le note e le immagini sono state aggiunte in questa riedizione per aiutare i meno anziani e i “foresti” a orientarsi più agevolmente in questo viaggio nella memoria.


...
Tra quanti appartengono alla mia generazione chi non ricorda quell'antro fumoso che era l'osteria di Marchinìn? Dal gran fumo ti bruciavano gli occhi e non riuscivi a vedere il fondo della sala.
... Chi non ricorda quella sera "memorabile" quando alle fatidiche 23 gli avventori si apprestavano ad uscire e si trovarono "stangati", dentro? Per diversi giorni fu motivo di gran risate. Oppure i pranzi dei coscritti di leva consumati nell'Osteria di Angeinolla? Le lunghe partite a carte nelle giornate di pioggia che ti permettevi dopo avere accudito al governo della stalla, riparato e molato qualche attrezzo, preparato le ginestre per legare le vigne a primavera. O da ragazzo nelle giornate di festa quando tuo padre ti concedeva il lusso della gassosa, in quelle famose bottigliette con la chiusura a biglia, che gustavi a piccoli sorsi per prolungarne il piacere e che inevitabilmente ti provocava quel certo pizzichio nel naso.

Ambrogio "Angiulìn" Arimondo

... L'osteria però non era solo luogo di giochi e di bagordi come certa letteratura ha voluto descrivere. Nel contesto di paesi prevalentemente agricoli e con insediamenti abitativi piuttosto sparsi, come appunto San Bartolomeo, dove fatta eccezione per qualche breve periodo, non esisteva nessun luogo di incontro, ecco che l'osteria si prestava a ricoprire questo spazio vuoto, diventando così luogo aggregante e di informazione e discussione, si può dire che è stata una parte integrante della storia di San Bartolomeo.
... Va tenuto presente che l'epoca di cui vi parlo va dagli inizi del secolo sino alla fine degli anni 40. I mass-media erano ancora di là da venire, la prima radio infatti è stata installata nel dopolavoro sorto appunto verso la fine degli anni 20, oltre alle 3 o 4 che erano nelle case private. Di giornali ne circolavano pochissimi. Le notizie di quel che succedeva si raccoglievano nelle osterie portate da qualcuno che in qualche maniera le aveva raccolte. Quelle di maggior risonanza quali: II processo alla Contessa Tiepolo, il caso Bruneri e Canella, l'affondamento del Titanic e della Mafalda, l’esplosione dell’Artiglio, la donna tagliata a pezzi nella valigia e le varie guerre combattute in quel breve arco di tempo, assieme alla politica formavano oggetto di discussione e commento. Non passavano neanche inosservati i fatti curiosi come quello di un certo "Abagarima", merciaio, che si serviva dei marchi tedeschi per avvolgervi la merce, o racconti di celebri burle. Inoltre avevano anche funzione di una piccola borsa merci, si scambiavano informazioni sul prezzo delle olive, di quanto avevano reso se qualcuno aveva "franto", se il mercato tirava e se era molle. Oppure in altre stagioni, quanto avevano "fatto" dei carciofi spediti ai mercati di Savona e Genova o portati alla piazza di Oneglia; delle pesche comprate dai commercianti per essere inviate ai mercati francesi prima, e quelli tedeschi poi. Parlavano anche di bestiame e di lavori in genere e "dulcis in fundo" se ne bevevano un quartino.
... II vino consumato nelle varie Osterie era quasi esclusivamente di produzione locale, comprato dagli osti con un sistema a rotazione dai "particolari". Nel periodo compreso fra gli anni 27/28 e 37/38 era pagato L. 1,60 al Kg. e rivenduto a L. 2/40 al It. Da notare che non esisteva alcun vino etichettato, quello che veniva da fuori era chiamato col dispregiativo di "Cancaùn". Quelle sopra descritte erano le risorse agricole di San Bartolomeo, fatta eccezione per una piccola striscia che si può collocare pressapoco al disotto della ferrovia, adibita a colture ortive dai "giardinieri" fra le quali faceva capolino qualche serra. Non tutta la fascia però era disponibile, perché sino alla prima guerra mondiale una parte di essa era ancora interessata da oliveti.

... Le osterie della parte alta di San Bartolomeo erano tre. La più vecchia, quella di Marchìn Trevia, condotta nel tempo ed in epoche diverse dai figli: Bianchìn, Rosina, sposata Morro e Marchinìn che faceva anche il carrozziere e il sensale di olive. È stata anche gestita da Natalìn du ferrà (Ardoino Natale) e sua moglie Maria, da Palma Luigi e famiglia, da Geremia Martini con sua moglie Maria, ed in ultimo dalla famiglia Oro che la trasformò in trattoria con pensione, spostandola più a sud di qualche centinaio di metri tuttora gestita da Renzo Morchio e famiglia [vedi nota 2]. Era situata al piano terra, quasi un seminterrato, della casupola che esiste ancora sulla sinistra appena passato il ponte sul Rio San Bartolomeo andando verso la vallata [vedi foto 1]. Sul retro aveva la "sciumbrìa" [vedi nota 3]. fatta con rami di quercia e rampicanti, per tavole lastre di ardesia posate su paletti conficcati nel terreno e panche ottenute con lo stesso sistema; di fianco giochi di bocce. Per insegna un ramo di pino ormai inscheletrito. I servizi, una giara seminterrata e protetta da quattro rami di quercia o da palme, una tenda di sacco per porta.

Foto 1 - Anni '50.

... L'osteria di Angeinolla, Carcheri Angela sposata Garitta, questa era la tipica "Osteria con cucina", lei era una valente cuoca. Inizialmente era situata a "Cà di Scimùi", nella villetta (via XX Settembre) [vedi immagine a lato], si accedeva da un ampio portale, esistente tuttora, al piazzale con "sciumbrìa", da questo attraversando la cucina si arrivava al locale adibito ad osteria, al piano di sopra la sala per i banchetti. All'inizio degli anni 30 fu trasferita in Piazza Roma in una casa appositamente costruita (dove ora c'è il Ristorante Baffo) [vedi nota 4 e foto 2]. In seguito fu gestita per qualche tempo dai figli Bacicìn e Vittorio, passata attraverso diverse gestioni a Brun Togno e sua moglie Fina che la condusse sino al passaggio di attività.

Foto 2 -Anni '40: la Villetta è l'immobile che si vede a destra del "castello".

... La terza osteria, quella du "Fèru" (Ferro G.B.) e poi della sua vedova a "Fèra" (Boeri Emilia), sorgeva sempre in Piazza Roma sul lato di sinistra andando verso il municipio, dove ora c'è l'alimentari di Oro Gian Marco [vedi foto 3]. Il fabbricato è stato per 2 o 3 volte ampliato e ristrutturato. Inizialmente consisteva in una piccola casa con al piano terra il locale adibito ad osteria e tabaccheria, poi osteria e rivendita di giornali. Verso la metà degli anni 30 il figlio Nino (Ferro G. B.) ancora ragazzo, nell'intento di venderne qualche copia in più iniziò a portare i giornali a domicilio. Quando il paese incominciò ad estendersi verso il mare e, forse, anche perché tre osterie nello spazio di 60 metri erano troppe, fu trasferita sulla via Aurelia in una delle palazzine dell'ex cantiere navale [vedi foto 4]. In un successivo spostamento, più a ponente, il Nino Ferro (Cif) dava vita all'Albergo Tirrenia (attuale Hotel Fortuna). [vedi foto 5]

Foto 3 - Anno 1959.

Foto 4 -

Foto 5 -

... Un'altra osteria, era quella di Federico Trevia che la conduceva con Ia famiglia, ma si potrebbe più definirla una degustazione, in quanto somministrava solamente il vino, ottimo, che produceva nelle sue vigne. Era ubicata in via Roma nella stessa casa color rosa dove risiedono tuttora i suoi figli Nino e Rina. Anche il dopolavoro ha avuto una sua collocazione, ma in definitiva, non si discostava da quella che era la realtà sociale e da quello che avveniva negli altri locali, unica alternativa, quasi tutte le feste si ballava. Nell'arco di una dozzina di anni di vita, nei suoi tre spostamenti ha sempre stazionato nella parte alta di via Roma e nello spazio di un centinaio di metri.
... Per quanto riguarda la parte alta del paese si esaurisce qui la descrizione di quelle osterie e locali che furono più strettamente legati alla vita contadina e alla realtà economica di San Bartolomeo, espletando anche il collegamento con la vallata.
... Ad una realtà di diverso tipo erano invece collegate le altre tre osterie collocate nella parte bassa, cioè in fondo a via Roma e sull'Aurelia. Queste non erano più legate alla tradizione contadina di un mondo quasi immobile, ma ad un mondo che stava cambiando e che si evolveva. Infatti la loro fonte di vita era principalmente dovuta alla fornace di laterizi, al cantiere navale, per il periodo che questo è rimasto aperto, alla costruzione di grandi opere come quella dei due ponti sullo Steria e al sottopasso ferroviario di via Roma e della via Aurelia. Ai carrettieri prima e ai camionisti poi che trasportavano il materiale per le sopraddette attività ed a quelli in transito.

... A questo gruppo appartenevano: l'osteria della Varazzese con cucina di Chiappori Emanuele (Manuelìn du Ponte) e sua moglie Caterina Delfino (Cateina) eccellente cuoca. Iniziò l'attività alla fine del primo decennio del secolo in via Roma, subito a monte della linea ferroviaria, dove attualmente si trova la trattoria Cacciatori. Successivamente si spostò sul ponte in via Aurelia in locali appena costruiti, con giochi di bocce e sul davanti un "bersò". Nel periodo di attività dei cantieri navali di San Bartolomeo e di Cervo arrivò a dare da mangiare fino a 40/60 persone. Nello stesso fabbricato il Chiappori vi impiantò un piccolo laboratorio nel quale fabbricava piastrelle. Da questa casa si trasferì dove ora c'è la dipendence dell 'Hotel Bergamo. A seguito di un bombardamento aereo che distrusse la casa, la famiglia Chiappori forte ormai di molti componenti si spostò ancora verso ponente dando vita all'attuale Ristorante-Pensione Varazzese. [vedi foto 6]

Foto 6 - Anno 1953.

... Un'altra osteria con cucina era quella del "Caracco", Ardoino Ambrogio e sua moglie Angeinìn, anche lei brava cuoca, provenienti da Villa Faraldi, e ubicata in via Roma dove prima c'era il Chiappori, con annessi giochi di bocce e "sciumbrìa". A fianco era posta una segheria per il taglio della legna da ardere e un piccolo capannone dove si confezionavano "gabbiette" e "platò" per l'imballaggio della frutta. Agli inizi degli anni 30 gli Ardoino emigrarono in Francia ed il tutto fu rilevato dal "Ghusu" Martini Antonio e famiglia anche loro provenienti da Villa Faraldi. Verso la metà degli anni 30 vi installarono il primo bigliardo della storia di San Bartolomeo. Fino a quel momento aveva fatto la sua fugace apparizione qualche bigliardino. Alla vigilia della guerra il "Caracco" rientrò dalla Francia, si riprese la sua osteria e con la famiglia la condusse per diversi anni ancora finché non cedettero l'attività.
... Ultima, ma non certo per importanza, veniva quella del "Fumelettu", Novaro Nicola e sua moglie Ginetta, era rinomata anche come sala da ballo. Credo che il periodo di massimo splendore lo abbia avuto al tempo del cantiere navale. Altro motivo di rinomanza era certamente dato dalle feste della Candelora. In quell'occasione anche il vasto capannone che normalmente serviva da laboratorio di falegnameria dove il "Fumelettu" con suo figlio Mario svolgevano la loro attività, veniva sgomberato e trasformato in sala da pranzo. Quando il tempo lo permetteva, anche nell'attiguo piazzale dove era installata una sega a nastro veniva sfruttato per la bisogna. Era posta ai piedi del Borgo della Madonna della Rovere dove ora si trova l'officina Regis. Verso la fine degli anni 20 cessò l'attività.
... Altre osterie rinomate, collocate però fuori dal territorio di San Bartolomeo erano quella di "Bacicìn da Parma" (Zunino G.B.) famosa per i peperoni sotto grappa. Inizialmente svolse la sua attività nella casa dove attualmente si trova il Camping Lino, si trasferì poi sull'argine sinistro dello Steria nella casa ora di proprietà di Enrico “u Pastù” e in seguito in fondo a Cervo dove esiste tuttora. Quella del "Diretto" prima e di “Manzun” dopo a Pairola, quella della "Burciuna" a Molino del Fico, del "Preture" a Riva Faraldi e infine del "Longo" e del "Mungìn" a Villa Faraldi.
... Spero che da questo tremendo minestrone qualcosa in fondo riusciate a cavarne, i più giovani o quelli che qui non risiedevano avranno difficoltà a raccapezzarsi, ma coloro che più giovani non sono avranno una certa nostalgia e un certo rimpianto, non fosse altro per il tempo e la gioventù che sono volati via. In fondo non era un mondo cosi idilliaco come molti oggi vogliono far sembrare, ma era una vita dura, monotona e di lavoro e una delle poche distrazioni era appunto l'osteria.
... L'osteria non era certo una Chiesa, ma neanche un luogo di gozzoviglie, era utile ed anche dilettevole. Quanti tipi ameni vi ho conosciuto che a pensarci mi viene il magone, quanti scherzi, quante burle e quanti canti ho sentito levarsi da quelle cantine di fumo ...
... A ben pensarci credo che l'animo di un popolo si conosca all'osteria.

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Note
1. Ambrogio "Angiulìn" Arimondo è stato presidente del Circolo Culturale Cà de Pui
ö dalla sua fondazione (agosto 1981) al gennaio 1989.
2. In realtà si tratta soltanto di un centinaio di metri, sul lato destro di via Roma salendo.
3. Una sorta di pergolato.
4. Ossia all'inizio di via Roma in alto sul lato a sinistra salendo, subito prima dell'incrocio con via Pairola.



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