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5. L'età moderna: la grande avventura dell'ulivo

La Valle Steria


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5. L'età moderna: la grande avventura dell'ulivo.

.....Se la vite e l'ulivo alla metà del Quattrocento costituivano le colture principali del Dianese e se ne spartivano equamente il territorio, la pianta regina del Ponente al momento era ancora la vite, che il Bracelli ha posto in grande risalto nelle descrizioni della valli d'Andora, d'Oneglia e di Porto Maurizio.
.....Per quanto concerne la Valle del Cervo, in mancanza di indicazioni più precise, si deve ritenere che si trovasse in una condizione a metà fra le due tendenze: l'esempio dianese indubbiamente deve aver fatto proseliti, ma la viticoltura dava ancora buoni margini di guadagno e non cedeva facilmente terreno alla coltura concorrente. Questo dilemma agrario è stato rimarcato nel 1531 dalla caratata delle terre del dominio fatta compilare dalla Repubblica, che, pur nella sua sommarietà, conferma la predominanza di queste produzioni nell'ambito della Podesteria del Cervo; il censimento anzi precisa che la quantità di olio e vino prodotto era tale da permetterne l'esportazione, mentre quella di fichi e di altra frutta era appena sufficiente per coprire il fabbisogno locale ed era invece praticamente nulla quella di frumento e di biade. Lo stesso documento infine rimarca che gli abitanti erano "marinari una parte e piscatori, il resto lavoratori di terre.

.....I dati della caratata del 1531 sono riferiti soltanto alla parte inferiore della Valle. L'area dei Faraldi non è stata trattata perché amministrativamente compresa nella Communitas Diani, convenzionata con Genova e in quanto tale non inclusa nel Dominio della Repubblica. Ci sovviene però a sopperire alla carenza di informazioni la descrizione quasi coeva che ne ha fatto Mons. Agostino Giustiniani, il quale nell'introduzione ai suoi famosi Annali ha riproposto per Cervo la semplicistica definizione di terra di marinai e ha precisato invece per i Faraldi che "oltra l'olio la valle abonda di vino, fichi e di ogni altro frutto".
.....La realtà agraria della Valle peraltro era più complessa di quanto si possa ricavare da queste note, sia per la varietà delle colture, che per le loro caratteristiche e le estensioni. Le piante da frutto e le specie arboree in genere coesistevano nello stesso appezzamento di terreno con gli ortaggi, i legumi e i seminativi, secondo un uso protrattosi a lungo. Nei documenti ora via via più abbondanti infatti si legge frequentemente di terre "aggregate", poiché così venivano definite. Ad esempio nel secondo libro dei conti dell'Ospedale Sant'Antonio di Cervo, in un inventario dei beni dell'opera fatto nel 1596, si trova registrata una terra detta "la Castagnaria", nella quale a dispetto del nome non vi era nessun castagno ed era invece una terra "agregata de viti fichi et olive con arbori venticinque grandi di olivi". Altre terre riportate in quell'elenco sono "la braia", di cinque fasce, aggregata di viti, fichi e in parte ortiva, "lo chian rosso", nel quale si trovavano quattordici alberi d'ulivo e in parte fienata e seminativa "di tre giornate di bovi incirca" e infine la "gieseta osia l'arena", consistente in quattro fasce aggregate di viti, fichi e un ulivo.
.....L'impressione più immediata che si ricava dalla lettura del documento è quella di una spiccata promiscuità colturale; ma è pure interessante rilevare che gli estensori dell'inventario hanno elencato con cura le specie arboree coltivate in ogni terra, registrando però soltanto il numero delle piante d'ulivo e non quello delle altre specie. E' una chiara indicazione della diversa considerazione di cui esse godevano.

.....La stessa annotazione si può fare leggendo i Capitoli contro li dannificanti approvati dagli Anziani e dal Consiglio della Comunità del Cervo nel 1644 per cercare di limitare "li grandissimi danni che giornalmente son fatti nelle campagne e nelle altrui terre in portar via ogni sorte di frutti che in esse nascono, e che ormai li patroni non hanno altro dominio nelle sue possessioni che in pagar le avarie e gli altri carichi". Il primo capo è dedicato al furto di olive, che veniva punito con una multa di 25 lire, mentre per il furto di fichifiore o di altro tipo di fichi la pena era di sole 4 lire e quella per il furto d'uva era di 10 lire. Continuando a scorrere i capitoli si trovano elencate di seguito le mandorle, il cui furto era punito con la multa di 25 lire come per le olive, e poi le pesche, le pere, le prugne "e qualsivoglia altra sorte di frutte", quindi il grano, i piselli, le fave e altri legumi, e infine gli ortaggi in genere, le romaniate, le zucche e altre verdure. La varietà dei prodotti elencati è ampia ma sicuramente non esaustiva, giacché non vi si trova ad esempio alcun riferimento ai melograni, ai limoni e ai cedri, che costituirono delle colture d'eccellenza; l'ultima in particolare procurò ai Cervesi la fornitura alla comunità ebraica di Francoforte.


Citrone

Melograno

.....Se i Capitoli contro li dannificanti hanno fornito un primo elenco significativo dei prodotti della campagna della Podesteria del Cervo, da una "caratata" condotta nel 1643 si può finalmente ricavare anche una mappa esauriente della consistenza e della distribuzione delle colture nell'ambito del suo territorio. Il rilevamento ha riguardato sia i fabbricati che i terreni e il primo doveroso raffronto fra queste due voci indica che i primi erano 535, per un valore d'estimo di 61.379 lire, sul totale di 7.803 possessioni che assommavano al valore complessivo di 456.786 lire. I fabbricati rappresentavano quindi l'8,86% delle possessioni e il 13,44% del valore d'estimo.
.....Le terre censite invece erano 7.268 e assommavano al valore di 395.407 lire. Assumendo questi dati come termini di riferimento, si ricava che gli uliveti costituivano poco meno della metà dei poderi (47,96%) e una percentuale leggermente superiore in valore d'estimo (54,62%); se ad essi si aggiungono le combinazioni colturali nelle quali l'ulivo era presente (ma non si ha alcuna possibilità di conoscere l'incidenza di ogni singola coltura nell'ambito delle combinazioni), si ottengono 4.483 possessioni, pari al 61,68% del totale dei terreni, e 334.249 lire di valore, che rappresentavano l'84,53% dell'estimo complessivo.
.....Se le stesse operazioni vengono fatte prendendo invece come riferimento la vite, che a quella data era scalata a seconda coltura per importanza, si ottengono queste risultanze: le possessioni a vigna erano 583 (8,02%) e il loro valore d'estimo era di 30.084 lire (7,61%). Considerando anche le combinazioni colturali nelle quali essa compariva risultano 1.160 possessioni (15,96%) e 125.955 lire di valore (31,85%).
La combinazione colturale più diffusa era quella composta dall'ulivo insieme alla vite, che interessava 528 possessioni (7,26%) e 90.232 lire di valore (22,82%). Il numero dei poderi con questo abbinamento non si discostava molto dal numero di quelli impiantati esclusivamente a vigna; c'era invece un grande divario nei valori complessivi, giacché quello dei primi era il triplo dell'altro. La mancanza di dati sull'estensione dei poderi però non permette di valutare quale incidenza vi abbia avuto la maggiore redditività dell'abbinamento colturale considerato. Il metodo di compilazione della caratata infatti prevedeva la valutazione a corpo, senza indicazione della superficie; ciò fa mancare dei riferimenti indispensabili per ulteriori approfondimenti, che non potrebbero prescindere dalla conoscenza dei dati metrici delle possessioni.
.....Comunque è fuor di dubbio che la combinazione ulivo più vite (o le due piante più altro ancora) era quella che dava il maggior reddito. Ciò è ampiamente evidenziato dal confronto dei valori medi delle possessioni fatto per colture. Questo è stato il motivo della sua larga diffusione, che si è riscontrata soprattutto negli ambiti territoriali delle parrocchie di San Giovanni Battista del Cervo e di San Bartolomeo. Nella prima il loro numero è risultato addirittura quasi doppio rispetto ai poderi a sola vigna.
.....Dal confronto dei valori medi nelle tre parrocchie della podesteria invece si evidenzia una notevole sperequazione tra l'area più prossima alla zona costiera e quella più interna. I valori modali nella parrocchia di San Giovanni Battista erano mediamente il doppio degli altri; questo dato e il numero esiguo delle possessioni indicano che qui la proprietà era meno frammentata ed era ripartita fra i pochi ricchi. La parrocchia di San Bartolomeo, se si eccettuano poche eccezioni, presentava una situazione di maggiore equità, caratteristica ancor più accentuata nell'area di Chiappa. Era una realtà sociale peraltro già conosciuta, che vedeva le potenti famiglie del Capoluogo prevalere nell'ambito della Comunità, contrastate soltanto da alcune di San Bartolomeo e di Pairola.
.....Un aspetto inedito sul quale i censori hanno posto l'accento in quell'occasione è il numero rilevante delle proprietà dei Faraldesi comprese nel territorio della Podesteria del Cervo. Si trattava del permanere dei riflessi della revisione dei limiti territoriali attuata tre secoli prima, quando la parte superiore della valle era stata annessa alla podesteria del Castello di Diano. Le possessioni in questione erano comprese quasi tutte nel territorio della parrocchia di San Giacomo di Chiappa e rappresentavano quasi un quarto del totale della podesteria e oltre un quinto se si considerano invece soltanto quelle a uliveto. Tale anomalia è stata per secoli motivo di accese contestazioni, soprattutto per le complicazioni di natura fiscale che ne derivavano.

COLTURE

NUMERO
PODERI

%

VALORE
COMPLESSIVO

%

VALORE MEDIO

Ulivo

3,486

47,96

215.973

54,62

61,95

Ulivo + vite

528

7,26

90.232

22,82

170,89

Ulivo + zerbile

243

3,34

11.787

2,98

48,51

Ulivo +campile

145

1,99

6.140

1,55

42,34

Ulivo + seminativo

53

0,73

4.762

1,20

89,95

Ulivo + orto

12

0,16

1.674

0,42

139,50

Ulivo + altro

16

0,22

3.681

0,93

230,06

TOTALI PARZIALI

4.483

61,68

334.249

84,53

74,56

Vite

583

8,02

30.084

7,61

36,44

Campile

1.112

15,30

13.235

3,35

11,90

Zerbile

692

9,52

7.853

1,00

11,35

Orto

230

3,16

4.752

1,20

20,66

Seminativo

61

0,84

1.180

0,30

19,34

Vite + campile

21

0,29

634

0,16

30,19

Vite + zerbile

15

0,21

932

0,23

62,13

Vite + altro

9

0,12

778

0,20

86,44

Canneto

18

0,25

215

0,05

11,94

Aggregato

14

0,19

473

0,12

33,78

Aggrgato + canneto

13

0,18

416

0,10

32,00

Altro

17

0,23

606

0,15

35,65

TOTALI GENERALI

7.268

100,00

395.407

100,00

54,40

A sinistra:
Caratata della Podesteria del Cervo del 1643.
Prospetto riassuntivo dei dati relativi alle colture praticate nella Podesteria del Cervo, che comprendeva soltanto la parte inferiore della Valle, pari a circa 3/5 del suo territorio.

Le mignole

Le olive

Ulivo

.....Nella caratata non si è trovato nessun riferimento ad altre colture elencate invece nei Capitoli contro li dannificanti accennati in precedenza, che sono praticamente coevi. Non vi si parla ad esempio di fichi, mandorli, agrumi, o di altre piante da frutto, e non si può pensare che esse siano state comprese fra le terre censite semplicemente come "aggregate" senza ulteriore distinzione, peraltro in numero assai limitato.
.....Probabilmente esse trovavano dimora negli orti, nei campi, tra i filari delle vigne o, nel caso dei fichi, nei muri a secco, nelle pietraie e nelle ripe incolte. Inoltre sicuramente tra gli ulivi venivano seminati dei legumi e talvolta anche dei grani, una tradizione che gli anziani ricordano ed è avvalorata dalla frequente collocazione delle piante sui bordi delle fasce. La promiscuità colturale era sicuramente più varia di quanto specificato dai rilevatori, il che tra l'altro giustificherebbe la quantità esigua delle possessioni dichiarate a seminativo e ad orto, che altrimenti si porrebbe in contrasto con le notizie relative alla copertura del fabbisogno agro-alimentare locale che si ricava dagli altri documenti del tempo.
.....L'evoluzione del paesaggio agrario della valle attestata dal censimento del 1643 evidentemente ha comportato una forte espansione dell'industria olearia, che è diventata un cardine dell'economia locale. Per la Comunità del Cervo, come per gran parte delle altre comunità liguri, il bilancio commerciale si traduceva in una semplice equazione: olio e vino contro grano. Qui la produzione di olio era abbondante, più che in altri luoghi, ma quella del vino era scarsa e vi si sopperiva con la pesca del corallo o con altre attività marinare, per bilanciare il deficit che oltretutto non era soltanto di grano, ma anche di stoffe, ferro, materiali per costruzioni, formaggi, coperte di lana e altro ancora. Ciò era possibile perché il calendario agricolo si armonizzava perfettamente con quello della pesca. Da maggio ad agosto quasi tutti gli uomini validi erano in mare; a settembre si vendemmiava e a ottobre aveva inizio la raccolta delle olive, un'operazione che nelle annate buone si protraeva fino alla primavera, con la costante apprensione per le frequenti gelate. Si realizzava così un pieno utilizzo delle risorse umane, tanto più necessario in quanto la produzione di olio, per quanto impegnasse una percentuale rilevante della popolazione, era fonte di redditi di una certa consistenza per un numero relativo di possidenti; per quelli che avevano scarse risorse e ancor più per i poverissimi che, come si diceva allora, non facevano olio, il più delle volte non restava che la vendita delle proprie prestazioni.

......................................... G. F.

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